Capitano, lo posso torturare?

Mi sento abbastanza esperto in materia di Impazienza da poterne scrivere a ragion veduta.

Ce n’è di due tipi direi.

Una è la insofferenza e irritabilità davanti a fastidiosi imprevisti, avversità assortite e soprattutto la stupidità e maleducazione umana. Con riferimento a questa varietà mi dichiaro da subito colpevole senza attenuanti o esimenti. Quando la vita si mette sfacciatamente di traverso – specie se si tratta di comportamenti dei miei simili – non ce la faccio a non incazzarmi. Non sono perdonista. Neanche un po’ (per referenze andare alle ultime battute di questo post).

Ma è l’altra di cui mi interessa parlare.

Quella per cui oggi in tantissimi non sanno più aspettare che si compia il momento giusto.

Mi pare in crescita esponenziale la frenesia di arrivare, di prendere quel che si vuole, usarlo e gettarlo via.

Nessun gusto dell’attesa, nessun piacere per la fremente eccitazione per quel che sarà. Fanculo il Sabato del villaggio.

In un mondo sempre più digitale in cui tutto reagisce in millesimi di secondo non c’è tempo da sprecare in pazienti attese.

Specie i ragazzi e i bambinielli non hanno alcuna capacità di annoiarsi docilmente senza fare il botto.

Un viaggio lungo in macchina senza intrattenimento? Impensabile. Nessuno guarda più fuori dal finestrino dell’auto o anche del treno.

Leggere e aspettare pagina dopo pagina che il libro si dispieghi? Non se ne parla. Troppo lungo e lento come processo.

Un filmone? Meglio una serie da 45 minuti.

Una partita importante della squadra del cuore in TV? Ok ma con pausa sigaretta in terrazzo (non all’intervallo come sarebbe d’uopo) e tanto Instagram o Tik tok in mezzo.

Ieri ero in palestra in un orario non proprio deserto. La macchina preferita per fare spalle e schiena è occupata. Cambio direzione. Faccio altro e aspetto. Mi distraggo e me la “rubano”. Aspetto ancora facendo pesi. Passa mezz’ora e alla fine è libera. Mi siedo e tempo un minuto si presenta un moccioso appena entrato in palestra. Ignorando le mie cuffiette tattiche (per ridurre al minimo i rapporti con la popolazione del luogo) si palesa a gesti e poi mi chiede se possiamo alternarci.

Ma procaccia della miseria non hai nulla d’altro da fare prima?!?!?

Non riesci ad andare oltre la tua schedina del cavolo e fare una variante?!?

Che succede se aspetti 10 minuti e nel frattempo ti allontani dalla mia vista e vai a scolpire i tuoi addominali che mi paiono flaccidini?

Ovviamente la risposta è: “Ho aspettato mezz’ora per sedermi qui e quindi finisco e poi te la cedo per tutto il resto della giornata”.

L’aspetto e il tono da Hamingway con occhi fiammeggianti lo convince subito: “ok bro ma stai calmo”.

“Sono calmissimo bro. Per questo non mi alzo e non ci avvicendiamo”. Rimetto le cuffiette e mi ascolto felice La mia parte intollerante di Caparezza.

Ma perché io e i boomer come me aspettiamo compostamente il nostro momento cercando di non rompere i maroni a nessuno e questi sbarbati si sentono in ogni occasione nel diritto di pretendere? Suggerisco loro di fare quel che Caparezza – nella citata canzone che ha un testo strepitoso – invita a fare con un cipresso.

Mala tempora (non tempura) currunt. E all’orizzonte le nubi sono ancora di più.

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